Riformare gli esami senza discriminare i praticanti. Il
presidente dell’Associazione nazionale praticanti e avvocati (Anpa),
Gaetano Romano, dice sì - con qualche distinguo - alle modifiche
annunciate dal presidente del Cnf, Remo Danovi: «puntare sulle scuole
forensi e universitarie è giusto, non siamo d’accordo sulla riduzione
delle sedi d’esame. Non c’è differenza tra venticinque commissioni sparse
per l’Italia e venticinque commissione riunite in quattro sedi. Non è
questo il modo di garantire maggiore omogeneità di risultati. E
soprattutto prevedere un percorso “agevolato” per pochi e uno “normale”
per tutti gli altri, crea una discriminazione inaccettabile».
All’obiezione che le scuole non potranno mai accogliere tutti i
praticanti (attualmente la stessa Anpa li valuta in 50mila), Romano
risponde chiedendo «una riqualificazione della professione a partire dalla
pratica. Oggi nel 70-80% dei casi la pratica è fittizia. Fatta cioè da
persone che non intendono fare gli avvocati. Si potrebbe ripartire da qui
per ridurre il numero dei candidati».
Numero elevato anche in ragione,
secondo Romano, delle differenti percentuali di promozione agli esami: «la
tendenza attuale a livellare verso il basso le percentuali di abilitati
non può che produrre una massa enorme di praticanti. Peraltro, a fronte
delle persistenti disomogeneità è difficile biasimare il cosiddetto
“turismo forense”. Anche se noi non facciamo nulla per
incoraggiarlo.».
La strada scelta dall’Anpa per far passare le proprie
idee è quella istituzionale del dialogo con le rappresentanze
dell’avvocatura e del colloquio diretto con le forze politiche.
Rinunciando ad azioni eclatanti, come ad esempio lo “sciopero del
praticante”, proclamato per il prossimo 20 dicembre da un gruppo di
praticanti estraneo all’associazione.
In nome di questa filosofia, ad
inizio legislatura l’Anpa ha elaborato una proposta legislativa di
modifica dell’accesso, presentata poi alla Camera dal capogruppo dell’Udc,
Luca Volonté (Ddl C-1202). Il progetto prevede, accanto al tradizionale
meccanismo basato sui due anni di pratica e seguito da un esame di Stato,
un sistema alternativo: due anni di pratica che diano automaticamente il
titolo di «procuratori legali abilitati» ad esercitare il tirocinio
davanti ai tribunali del distretto. Poi, dopo tre anni di esercizio
effettivo e continuativo della professione «documentato, controllato dal
consiglio dell’Ordine e certificato anche dall’iscrizione alla Cassa di
previdenza e assistenza forense», i “procuratori legali abilitati”
potranno iscriversi all’Albo professionale degli avvocati. Senza
sostenere, quindi, alcun esame: «sul presupposto della equipollenza tra
l’esame di Stato e l’attività di patrocinio legale, come affermato dalla
sentenza 5/1999 della Corte costituzionale». Sentenza che afferma: «il
legislatore può stabilire che in taluni casi si prescinda dall’esame di
Stato (sentenza n. 127/85) quando vi sia stata in altro modo una verifica
di idoneità tecnica e sussistano apprezzabili ragioni che giustifichino
l’eccezione».
Nella proposta di legge si chiede anche di abolire i
vigente limite di 6 anni per l’esercizio del patrocinio.
All’ultimo congresso di
luglio, l’Associazione ha deciso di accogliere tra i propri iscritti oltre
ai praticanti anche agli avvocati con meno di tre anni d’iscrizione
all’Albo. Una scelta dettata dall’esigenza di evitare le conseguenze
negative di un turn over costante ma che ha anche prodotto
l’effetto di allargare gli orizzonti di interesse: dal gratuito patrocinio
alla difesa d’ufficio, alla riforma delle libere professioni. «Chiediamo
la rapida approvazione del “Ddl Pecorella” per la riduzione a 2 anni del
limite attualmente di 6 anni d’iscrizione all’Albo per essere inseriti
nelle liste del gratuito patrocinio, equiparandolo alla difesa s’ufficio.
E sulla riforma delle professioni siamo favorevoli alle proposte, che
anche noi abbiamo sottoscritto, del Cnf e degli Ordini. È importante che i
criteri generali siano validi su tutto il territorio nazionale».
Sul
ruolo degli ordini e sulle prospettive della professione, il giovane
presidente Romano si rivela più “tradizionalista” di molti suoi colleghi
anziani: «l’Ordine non si discute, è nella storia del nostro Paese. Siamo
anche contrari alla strutturazione aziendale della professione e sulla
pubblicità, siamo favorevoli purché non si snaturino le caratteristiche
della professione».(m.t.)